Nel solco della tradizione dei grandi comici, da Totò e Peppino a Benigni e Troisi, la ministra delle Troppe Opportunità, Mara Carfagna, ha scritto una lettera. Evento di tale portata da meritare una pagina del Corriere.
Se la lettera di Totò alla malafemmina iniziava con l’immortale «Veniamo noi con questa mia a dirvi…», l’incipit della Carfagna è un perentorio «Sono qui a dire la mia, se mi è consentito, forte e fiera del lavoro svolto».
Che tempra. «Lo faccio rivela la pulzella di Salerno perché ho testa, né più né meno di tanti pseudo-intellettuali che si ergono pomposamente a maestri di vita e scienza, etica e morale».
Ben detto, gliele ha cantate chiare.
Colonne di piombo si abbattono impietose sul povero lettore, pregne di concetti alati, quali «qui casca l’asino» e «si stava meglio quando si stava peggio»… Si attende invano un «signore si nasce, e io modestamente la nacqui», ma è sottinteso.
Ed ecco la zampata della fuoriclasse: «Il Parlamento vede tra i suoi banchi uomini dalle assai dubbie capacità politiche». Vero.
«Condannati per banda armata, omicidio, esplosivi, rissa (allude a Maroni?, ndr)… onorevoli che hanno ammesso di prostituirsi (ci sarebbe anche un condannato per mafia, ma nella foga le è sfuggito, ndr).
E nessuno si è scandalizzato, mai». Parole sante.
Invece chi «indigna, scandalizza e inquieta»? Il povero Silvio, «uomo leale, perbene e rispettoso, persona di garbo e gentilezza, mai prepotente e arrogante, consapevole di una innata capacità seduttiva». Manca solo il tocco finale: «Malcostume, mezzo gaudio».
Punto, punto e virgola, due punti.
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